Il Corpo della Nobiltà Italiana: storia, sviluppo, futuro

Con l’entrata in vigore il 1° gennaio 1948 della Costituzione Repubblicana venne meno in Italia la tutela giuridica dei titoli nobiliari [1] e iniziò un periodo grigio di incertezza, sovrapposizioni tra ordinamento giudiziario e amministrativo, inserimento di forme diverse di autotutela, sempre in attesa che il Parlamento emanasse una norma sulla soppressione della Consulta Araldica (art. XIV comma 4), che era l’organo statale preposto alla materia araldica e nobiliare fin dalla sua istituzione con R.D. del 10 ottobre 1869 [2].

In questo clima di incertezza iniziarono alcuni tentativi di affidare ad un ente, seppure privato, la tutela del patrimonio storico dei nobili italiani e in questa frammentata situazione ricordiamo una “Commissione Consultiva provvisoria istituita con l’autorizzazione di S. M. per il riordino della situazione araldica italiana” già operante nel 1951.

Nel 1950 era sorta a Milano l’Associazione archivistica Genealogica Lombarda; in seguito a due riunioni del 19 dicembre 1951 e 17 febbraio 1952, fu costituito un Comitato promotore in cui il Prof. Marino Bon, Patrizio Veneto, affermò che “soltanto un’efficiente associazione nobiliare fondata sull’autorità dei privati aderenti, regolata e garantita dalle regolari disposizioni dal Codice Civile, è nello stato democratico moderno il solo strumento possibile di una seria difesa del patrimonio storico e ideale della nobiltà ereditaria”.

Nel 1951 era stata costituita anche l’Unione della Nobiltà Italiana con scopo di assistenza e organizzazione giovanile. In seguito alla fusione dell’UNI con il CNI, deliberata dall’Assemblea generale del CAN il 1° dicembre 1979 e operativa dal 1° dicembre 1980, il CNI ne raccolse il nome e i compiti.

Sicuramente, nel dibattito che si svolgeva, una componente determinante era l’attaccamento di certi ambienti alla causa monarchica, e quindi una posizione politicamente definita, ed un’altra che chiameremmo “laica” ovvero, pur nel rispetto per il Re Umberto II, più realisticamente consapevole della effettiva situazione istituzionale.

Il Congresso internazionale di genealogia e araldica, organizzato nel 1953 dal Collegio Araldico in occasione del proprio centenario, si concluse con un voto in cui, tra l’altro, si auspicava la formazione di un ruolo nazionale della nobiltà italiana fondata sull’autorità dell’intero corpo nobiliare, “affermando tra l’altro che l’autorità e il diritto di giudicare chi debba essere iscritto per giustizia alla nobiltà e chi debba essere escluso, spettano oggigiorno pienamente ed esclusivamente alla collettività dei nobili, ossia al Corpo Nobiliare Nazionale che noi abbiamo il dovere di costituire riunendo e raggruppando la maggior parte dei nobili italiani nel nostro istituto” [3]. Il Duca della Salandra e di Serracapriola proseguiva affermando che bisogna tempestivamente agire “sulla necessità di illuminare continuamente i pubblici poteri sul dovere di seguire presso le Curie italiane i processi che riguardano predicati e spesso, per sconfinamento della magistratura, titoli nobiliari, sull’urgenza di portare a conoscenza imprese truffaldine, i trucchi, le falsità per ottenere attestazioni giudiziarie di qualifiche nobili, le malefatte di pseudo-accademia o fasulli enti araldici rilascianti ampollosi certificati”.

Il 29 novembre 1954 il Re Umberto II approvò l’indirizzo a lui rivolto da un gruppo di gentiluomini e “nella udienza accordata volle, nell’accettare il patronato dell’Associazione, con somma benevolenza, chiarire la necessità del principio della spontanea associazione a tutela del patrimonio morale dell’autentica tradizione di nomi antichi, benemeriti ed insigni, senza nessuna nomina all’alto, riservandosi soltanto di designare, in seguito, un suo Segretario per l’Araldica a latere del costituendo Istituto” [4].

Si incominciò quindi a delineare un’architettura sul principio dell’istituto privato di spontanea costituzione che vedeva alla sua base le commissioni regionali, in analogia a quelle costituite dalla Consulta Araldica del Regno d’Italia, e che riflettevano a loro volta le partizioni storicamente rilevanti: Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino e Alto Adige, Venezia Giulia, Parma e Piacenza, Modena, Romagna, Toscana, Lazio Umbria e Marche, Province Napolitane, Sicilia, Sardegna.

Lucidamente il Duca Maresca, nella sua relazione del 10 novembre 1956 al Consiglio Araldico Nazionale, proseguiva ricordando che “se non vogliamo diventare come nobiltà il rudere di un’età trapassata, un pezzo più o meno interessante di museo, e nel miglior caso soltanto diventare i custodi della sopravvivenza del ricordo storico” bisogna “guadagnare la pubblica estimazione la quale soltanto può darci valore e forza”. Si giunse così all’assemblea del Consiglio Araldico Nazionale tenutosi a Roma il 3 marzo 1957, in cui fu costituito il Corpo della Nobiltà Italiana e poi, al 30 giugno 1958, con la costituzione formale dell’“Associazione Nazionale del Corpo della Nobiltà Italiana” [5]

La riunione ebbe una larga eco sui maggiori quotidiani nazionali [6] che rilevarono come, allo scopo di difendere i valori storico-tradizionali della nobiltà italiana insidiata da abusi e inganni, si fossero riunite a Roma le Associazioni nobiliari regionali, dando vita a un nuovo organismo che, con riferimento anche all’art. 9 della Costituzione, è volto alla tutela del patrimonio storico nazionale. Anche l’autorevole Osservatore Romano [7] auspicava che del nuovo Consiglio Araldico nazionale potesse avvalersi la magistratura “per la esatta valutazione di documenti relativi al diritto nobiliare. In modo da evitare alcuni errori che nel passato si sono verificati”.

Sulla base di questi principi regionalistici si erano costituite le Associazioni Regionali; dopo la Lombardia, di cui si è detto, fu la volta dell’Associazione Toscana l’11 marzo 1956, di quella Piemontese l’11 aprile 1957, delle Province Napolitane il 7 dicembre dello stesso anno, di quella per il Lazio, l’Umbria e le Marche il 20 febbraio 1958, cui seguirono la Liguria il 2 marzo 1958 e il Veneto il 15 marzo 1958.

Il Corpo della Nobiltà Italiana, nella premessa al suo statuto, indicava il suo fondamento nella carenza della tutela dei titoli e dei diritti storici nobiliari da parte dello Stato e assumeva la funzione di supplire a tale compito. “Le Associazioni Nobiliari regionali, confortate dall’Alto gradimento dell’Augusto Capo della Real Casa di Savoia, Primo Gentiluomo d’Italia a Capo della Nobiltà Italiana, rappresentano il Corpo della Nobiltà Italiana nelle sue 14 circoscrizioni tradizionali, come già stabilito dalla Real Consulta Araldica.”

Organi costitutivi erano le Associazioni Regionali, le Commissioni Araldico-Genealogiche Regionali espresse da ciascuna Associazione, la Giunta Araldica Centrale composta da un delegato per ciascuna Associazione e dal suo Presidente, e il Consiglio Araldico Nazionale che comprendeva tutti i componenti delle 14 commissioni tra cui eleggeva il Presidente, i Vice Presidenti, il Segretario Generale (poi divenuto Cancelliere) e il Tesoriere. Nel testo del 1958 si sancisce il principio che il CNI “si attiene alle leggi nobiliari che furono emanate ed applicate nel Regno d’Italia, quali sono riassunte nell’Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano approvato con Regio Decreto del 7 giugno 1943 n. 651 ed il presente Ordinamento”.

Il primo Presidente fu il Principe Don Emilio Guasco Gallarati Marchese di Bisio; Vice Presidenti il Marchese Don Annibale Brivio Sforza, il Cavaliere Don Enrico Amat di San Filippo e il Principe Don Mario del Drago; Segretario Generale il Marchese Alerame Pallavicini, mentre Presidente della Giunta Araldica Centrale era Don Giovanni Maresca Duca della Salandra.

Elemento nuovo nell’organizzazione del CNI era il ruolo del Segretario di Sua Maestà per l’Araldica, le cui funzioni erano necessariamente differenti da quelle del Commissario del Re per l’Araldica (art. 19-21 art. 57 R.D. 7.6 1943 n. 651 e 652) al quale erano sottoposti tutti i pareri delle Commissioni Regionali e quelli sulle domande di grazia e che quindi fungeva da tramite necessario tra l’azione amministrativa per i provvedimenti di giustizia e quella governativa per i provvedimenti di grazia e lo stesso Sovrano . Nell’ordinamento del CNI, invece, il Segretario partecipava a tutte le adunanze degli organismi del Corpo, ma aveva un suo ruolo per i provvedimenti di grazia sovrana [9].

Il CNI si dotò di un Bollettino Ufficiale fin dal 25 ottobre 1957, che comprendeva -e comprende- una parte ufficiale in cui sono riportati gli ordinamenti, i regolamenti, il massimario, i componenti degli organi direttivi, i provvedimenti di giustizia deliberati dagli organi del CNI; una seconda parte con i provvedimenti di grazia adottati da Umberto II e comunicati dal suo Segretario per l’Araldica. Una terza parte non ufficiale, di carattere storico, giuridico, araldico e di interesse nobiliare, etico e sociale.

Il primo numero del Bollettino Ufficiale si apriva con un messaggio di Umberto II indirizzato al Presidente del Consiglio Araldico Nazionale, Principe Guasco di Bisio [10].

Negli anni immediatamente successivi si costituirono le altre Associazioni Regionali e il Bollettino Ufficiale del 1961 riporta la composizione di tutti gli organismi direttivi delle Commissioni Regionali.

Nel funzionamento del CNI bisogna distinguere due fasi diverse: quella che va dalla fondazione nel 1958 alla morte di Umberto II (1983) e quella cha va dalle modifiche istituzionali dell’Ordinamento (1985) a oggi.

L’Ordinamento del Corpo approvato dall’Assemblea Generale tenutasi a Roma il 3 marzo 1957, fu modificato nel 1961 e nel 1967, e fu significativamente revisionato il 30 marzo 1985 poiché in seguito alla scomparsa di S.M. il Re Umberto II non era più operante la regia prerogativa e si limitò quindi la competenza del CNI ad accertare e salvaguardare i diritti storici dei nobili italiani.

La convivenza all’interno del CNI delle diverse sfere di azione: provvedimenti di giustizia di competenza delle Commissioni Regionali e della Giunta Araldica Centrale; provvedimenti di grazia in esercizio della prerogativa regia; e provvedimenti “di grazia sulla giustizia”, ovvero pareri delle Commissioni Regionali sugli aspetti storico-giuridici, specie nel campo delle successioni femminili. Tali provvedimenti quali rinnovazione, assensi, convalide, etc., erano stati spesso terreno di scontro in cui numerose volte le Commissioni Regionali lamentarono di non essere state interpellate per esprimere il loro giudizio, fatta salva la facoltà di Umberto di esercitare il potere costituzionale derivantegli dall’art. 79 dello Statuto Albertino.

Non è questa la sede per riassumere i termini di una questione che era tanto giuridicamente complessa quanto politicamente delicata.
Successivamente l’ordinamento fu modificato nel 2002, nel 2003 e infine risale al 10 maggio 2008 l’ultimo testo oggi in vigore.

Nel suo evolversi il CNI, pur mantenendo la sua struttura organizzativa, ha integrato alcuni organismi non originariamente previsti, quali la Corte d’Onore, creata nel 1967, il Circolo Giovanile nel 1986 e il Collegio di Revisione, previsto dal testo approvato nel 2008.

Un rilevante aspetto dell’attività della Giunta Araldica Centrale è l’approvazione di massime, ovvero la determinazione di valore generale sulla falsariga di quanto faceva la Consulta Araldica e in funzione delle diverse strutture giuridiche di riferimento.

Sempre nel Congresso internazionale di genealogia e araldica del 1953 fu lanciata l’idea di un organismo europeo che riunisse i sodalizi nazionali e che si concretizzò il 1° aprile 1959 con l’approvazione degli statuti della Commission d’Information et de Liason des Associations Nobles d’Europe (CILANE). Attualmente fanno parte della CILANE le Associazioni Nobiliari (una per Paese) di Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Malta, Paesi Bassi, Nobiltà Pontificia, Portogallo, Russia, Svezia, Svizzera, Ungheria, Spagna.

Nei 60 anni di sua attività il CNI ha compiuto un vasto lavoro di esame delle istanze pervenute e ha deliberato favorevolmente con dichiarazioni di spettanza in 350 casi. Delle delibere adottate dal CNI (Giunta Araldica Centrale e Commissioni Regionali) oltre la metà (circa 190) hanno riguardato membri di famiglie già iscritte negli Elenchi Ufficiali della Consulta Araldica e solo 130 famiglie che non figuravano in tali elenchi. A queste delibere vanno aggiunti i pareri che in numerosi casi le Commissioni Regionali furono chiamate ad esprimere su provvedimenti che la grazia sovrana avrebbe emanato, oltre ai casi in cui le delibere della Giunta sono state annullate in seguito a revisione della documentazione presentata.

Nei Bollettini CNI, inoltre, sono registrati 382 provvedimenti nobiliari di Umberto II adottati nel periodo 1950-1982, di cui 76 provvedimenti di grazia di assenso, rinnovazione, estensione, autorizzazione all’uso e convalida, 7 concessioni di stemmi di cittadinanza e 5 concessioni di stemma o di ampliamento e poco meno di 300 concessioni ex novo.

In sostanza in 60 anni di attività il CNI ha costituito un solido baluardo alle istanze, a volte farneticanti, e con scrupolo e attenzione in sede locale e poi centrale ha cercato di applicare al meglio la strumentazione giuridica di cui si è dotata. Certamente la totale cancellazione del RR. DD. 651 e 652 del 1943 in seguito all’emanazione del Decreto legislativo del 16 dicembre 2010 n. 213 li confina nella storia del diritto mentre, viceversa, si profilano una serie di interrogativi sull’applicazione di nuove leggi riguardanti il diritto di famiglia, il diritto al nome, l’adozione del cognome materno, il riconoscimento delle unioni civili, tutti temi dibattuti in sede parlamentare e nel Paese in cui il diritto civile in quanto diritto al nome e il diritto nobiliare si differenziano.

Il grande giurista Santi Romano, nella sua teoria degli ordinamenti giuridici, postulava che ogni ordinamento giuridico è un’istituzione e ogni istituzione è un ordinamento giuridico, quindi ci sono tanti ordinamenti giuridici quante istituzioni. In questo senso il Corpo della Nobiltà Italiana si può considerare un’istituzione che ha il diritto/dovere di perseguire un proprio ordinamento a tutela delle famiglie nobili italiane e alla luce dei cambiamenti della storia.

Narciso Salvo di Pietraganzili
Presidente Emerito della Giunta Araldica Centrale
Luglio 2018

Note:

[1] art. XIV delle Disposizioni transitorie e finali.

[2] La norma di soppressione della Consulta, nonostante alcuni tentativi negli anni 2000, non è mai stata emanata. Nella XIV Legislatura (2001-2006) furono presentati al Senato due disegni di legge in materia (atti n. 3245 e 3299). Il testo unificato prevedeva all’art. 1 comma 3 che l’ufficio onorificenze e araldica pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri si avvalesse “per la consulenza storica anche dell’Associazione Nazionale del Corpo della Nobiltà Italiana che svolge tale attività in continuità con quella già esercitata dall’ente di cui al comma 1” (Consulta Araldica). Il ddl fu approvato in sede deliberante dalla 1a Commissione Affari Costituzionali e trasmesso alla Camera (atto n. 6278), ma la fine della legislatura non ne permise l’approvazione definitiva. Non può sfuggire l’importanza che avrebbe avuto il riconoscimento pubblico dell’attività del CNI. Nella successiva Legislatura (2006-2008) fu presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge (atto n. 2238) di analogo contenuto, reiterata alla XVI Legislatura (2008-2013) (atto n. 564), ma le proposte non furono mai esaminate nonostante gli sforzi di alcuni esponenti del CNI che si occuparono da vicino di tutto l’iter parlamentare. Un ulteriore tentativo di soppressione della Consulta Araldica è contenuto in una proposta di legge presentata alla Camera (Atto n. 5568) nella XVI Legislatura, mai esaminata.

[3] G. Maresca Relazione alla Giunta Araldica Centrale, 10 novembre 1956.

[4] ibidem.

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[5] per atto in Not. Silvio Mandelli in Torino repertorio n. 61082.

[6] Corriere della Sera, 7 marzo 1957; La Stampa, 8 marzo 1957; il Mattino di Napoli, 8 marzo 1957; il Giornale d’Italia, 7 marzo 1957, ecc…

[7] 11 marzo 1957. Il Direttore dell’Osservatore Romano Conte Giuseppe Dalla Torre seguì con particolare attenzione l’argomento che fu oggetto di altri articoli su quel giornale.

[8] Dopo la scomparsa il 19 novembre 1943 del Commissario del Re per l’Araldica Sen. Conte Mariano d’Amelio, i Sovrani non avevano più nominato un loro rappresentante.

[9] Il Ministro Plenipotenziario Barone Giovanni di Giura fu nominato Segretario di S.M. per l’Araldica nel 1956.

[10] “Nel ringraziare per avermi inviato l’elenco delle Commissioni Araldico Genealogiche Regionali, costituitesi per la tutela del patrimonio storico della Nobiltà Italiana, che, memore delle sue tradizioni di dedizione alla Patria, vuole perpetuarne il ricordo e continuarne gli esempi, confermo il mio cordiale augurio e saluto, rivolto a Lei ed a tutti i Suoi Collaboratori, all’atto della costituzione del Corpo della Nobiltà Italiana, sicuro che la Loro attività sarà sempre rivolta a valorizzare gli alti ideali, che sono il saldo fondamento delle Famiglie e degli Stati. UMBERTO”.