Simbologia del Labirinto

L’immagine del labirinto è spesso legata ai nostri ricordi scolastici, quando forse non si era tanto disposti ad approfondire le motivazioni poste alla base di questo tipo di struttura e il volo di Icaro veniva considerato una scellerata sfida al Sole.
Ormai conosciamo l’evolversi di quel racconto e qui si ferma il richiamo all’opera di Dedalo. L’architetto dell’antichità aveva sviluppato un percorso di tipo univiario, che inevitabilmente portava il pellegrino a raggiungerne il centro. Un’altra via, parallela a questo itinerario, conduceva di nuovo all’esterno. Nulla a che vedere con i complessi labirinti medievali multiviari, che invece rendevano difficoltoso il trovare la strada dell’uscita, rimandando a interpretazioni cabalistiche e occulte. Con il Rinascimento, come già riportato in un altro articolo, l’elemento diviene un divertissement per le sontuose ville di campagna, destinato a intrattenere chi lo percorreva, suscitando in lui preoccupazione e ansia per le difficoltà che andava incontrando per uscirne.
Tornando al labirinto del palazzo di Cnosso, esso presentava otto circonvoluzioni e aveva un significato di tipo astronomico ed astrologico: il percorso iniziava in un punto che rappresentava l’Equinozio di Primavera o nodus. Il cammino ricurvo, altalenante verso l’alto e verso il basso, simboleggiava il percorso del Sole, di tipo bustrofèdico, (dal greco βουστροφηδόν, bustrofedón), in quanto esso ricorda l’andatura del bue che trascina l’aratro lungo il campo (v.immagine 1).
Nella città di Siena, sul lato nord del Duomo di Santa Maria Assunta, una lapide rozzamente scolpita ma di grande valore talismanico e, pertanto, affettuosamente definita «il quadrato magico», recita: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS (v.immagine 2). Queste parole, in un perfetto latino del I sec. d.C., riportano, in qualche modo, all’interpretazione del labirinto antico. La storia narra come, nel 65 d.C., l’imperatore Nerone venisse nominato «nuovo dio Mitra», dando così inizio all’istituzione di culti che si diffusero rapidamente fra le fila delle legioni romane. Il Sator era strettamente legato a questa religione e la sua interpretazione va analizzata seguendo tutte le indicazioni che esso può fornire. Osservandolo, si scopre che, intanto, è una meridiana assoluta, ovvero indica il movimento che il sole compie nel cielo nel corso di un anno. Un primo elemento, dunque, che accomuna il Sator al labirinto classico. Il suo accostamento poi con l’astro ne spiega il valore magico: l’analogia con il sole sarebbe stata, infatti, una protezione dal calore eccessivo. E l’aspetto interessante è proprio il legame con i culti mitraici così diffusi fra le truppe romane, dal Vallo di Adriano fino al confine con i Parti, in piena Asia Minore. Si comprende come, in una situazione di perpetuo rischio di morte, una speranza di vita nell’Aldilà prospettata da quel culto – una anticipazione di quello cristiano – attraesse coloro che erano esposti ai seri pericoli ai confini dell’impero. Il quadrato contiene però altri simboli legati ai culti mitraici: la stella a sei punte e quella a dodici punte. La parola tenet costituisce poi una perfetta croce che si legge in qualsiasi modo la si osservi, con una N centrale che sta ad indicare nodus, il nodo, passaggio dall’emisfero meridionale a quello settentrionale e viceversa: indicazioni che riportano, anche in questo caso, al labirinto classico.

Se, come suggerisce il Professor Gioacchino Chiarini, docente dell’Università di Siena1, leggiamo la scritta in modalità bustrofedica, troviamo: SATOR TENET OPERA TENET SATOR, che va interpretato come “Il seminatore esegue con padronanza il compito affidatogli”, con una ripetizione rafforzativa. Il Sole è visto come l’autore del ciclo delle stagioni e del muoversi degli astri.
Sul quadrato si possono tracciare le posizioni dei simboli dei pianeti, gli assi Cardum e Decumanus, quelli che indicano i solstizi, fino ad ottenere, in forma stilizzata, la cosiddetta stella a otto bracci, riportata sui vessilli con cui le legioni romane andavano in battaglia (v.immagine 3).

La leggenda narra che, il 27 ottobre 312, l’imperatore Costantino ricevesse in sogno l’ordine di impegnare in combattimento le truppe del rivale Massenzio, esponendo sulle insegne i simboli di Cristo.
Per fare ciò Costantino non avrebbe fatto altro che sovrapporre alla croce centrale il simbolo della lettera greca Rho (v.immagine 4) e la stella a otto bracci divenne con questa semplice modifica il nuovo labaro delle legioni.
In sostanza il monogramma, che viene definito come “Chrismon” o “Cristogramma” consiste in una croce, le cui due lettere greche maiuscole Chi (Χ) e Rho (P) non sono altro che i due caratteri iniziali del nome di Cristo.
La religione cristiana mantenne quel simbolo e iniziò a partire da allora ad identificare il Salvatore con la figura del Sole e della Luce. Tale prassi è dimostrata dalla ricca iconografia che lo rappresenta circondato dai raggi solari.
Dopo la breve parentesi pagana di Giuliano l’Apostata, successore di Costantino, il Cristianesimo si riaffermò definitivamente con Teodosio, il 27 febbraio 380 d.C. ed i mitrei furono trasformati in chiese.
Nel Medioevo, molte furono le rappresentazioni sacre che adottavano quell’icona, come, ad esempio, il sole di San Bernardino da Siena e i ricchi ostensori che vengono ancora oggi esposti nei nostri luoghi di culto.
Il Chrismon ha subito nel tempo una trasformazione dal punto di vista grafico, ma ha mantenuto inalterato il suo significato simbolico.
La croce dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, riassume quei segni, il chi (X) e la rho (P) originari, con l’aggiunta di un’alpha maiuscola (A) e di un’omega (ω) sulla traversa della croce, che rappresentano l’inizio e la fine dei tempi, associate alle lettere I, H, S, V (In Hoc Signo Vinces) poste sul montante e la traversa (v.immagine 5)

Alessandro Gigli Cervi

Immagine 1: Labirinto Classico

Immagine 2: SATOR Siena

Immagine 3: Stella solare a otto bracci

Immagine 4: Chrismon

Immagine 5: Croce costantiniana

Brevi nozioni sulla Nobiltà

Per il lettore che sia entrato nel nostro sito per caso, o perchè gli è stato indicato da un amico, questa potrebbe essere una buona occasione per conoscere qualche semplice nozione su quella che viene definita “nobiltà” o meglio status di nobile e sulle persone che si trovano in detto status. Premesso che l’attribuzione dei titoli nobiliari era – ed è ancora – privilegio di un regnante o di una Repubblica Aristocratica, la così detta – per quanto riguarda il sovrano – Regia Prerogativa. Diciamo in primis che la nobiltà si può classificare in tre principali categorie: nobiltà di origine feudale che aveva come funzione l’amministrazione di un feudo, quando un Re o un Imperatore affidava ad un meritevole (generalmente per fatti di guerra) suddito il governo di una parte del suo regno (Marca, Contea o altre). Il governo non sempre era totale, a dire il vero, tanto è che i sovrani anglo sassoni sovente inviavano nel feudo un proprio funzionario di fiducia (il coroner) 1 per controllare le prerogative della corona (di qui il nome) e successivamente anche l’amministrazione della giustizia soprattutto nei casi di morte evidentemente non naturale. La nobiltà feudale doveva per forza rispettare il principio del maggiorascato / primogenitura per evitare il frazionamento del feudo stesso. In secondo luogo e in tempi successivi abbiamo la nobiltà civica quando le Repubbliche Aristocratiche concessero il titolo di nobiltà (Marchese) a cittadini insigni che ricoprivano cariche pubbliche di particolare rilevanza (prima fra tutte la carica di Doge); da qui nacquero le nobiltà del Patriziato. A Genova il Patriziato ebbe inizio nel 1528 e rimase in vigore sino al 1797 e questa nobiltà si formò con le più illustri famiglie che ebbero il governo dello Stato, cioè a dire che erano essi stessi i sovrani, cioè i compartecipi dello Stato. In questo caso non vi era ragione di distinguere primogeniti da ultrogeniti in quanto la sua funzione era quella di mettere i membri della famiglia a disposizione per l’amministrazione della città. Da notare che in secoli precedenti a illustri famiglie genovesi furono, per decreto di un Imperatore, concessi feudi nell’entroterra (e.g. Fieschi conti di Lavagna).

Terza la nobiltà onorifica è quella di molte famiglie nobilitate per Diploma Sovrano, Regi Decreti, Regie Lettere Patenti, Brevi Pontifici ed altri. In tutti e tre i casi enunciati la persona così investita diveniva Marchese, Conte, Barone, Nobile ed aveva il diritto di trasmettere in infinito alla sua discendenza detto titolo. Scorrendo gli Elenchi Ufficiali Nobiliari si legge ad esempio: titolo di Marchese (mpr ) o (m ) o ancora (mf ) che vuol dire nell’ordine: per linea maschile primogenita, maschile anche ultrogenita, maschile e femminile.

Naturalmente se la concessione è stata solo in linea maschile primogenita, i figli ultrogeniti non hanno diritto al titolo e nemmeno i loro discendenti. Le femmine della famiglia conservano il titolo per tutta la vita; se sposano un nobile assumono il titolo del marito e si dirà:

Marchesa …nata Baronessa…Se sposa un non nobile conserva il titolo, ma non lo trasmette ai figli, a meno che non intervenga un Provvedimento di Grazia ed al marito venga concesso il titolo della moglie con una concessione Maritali Nomine e il titolo è trasmissibile ai figli. Per indicare l’origine nobiliare si dice anche N.H. Nobilis Homo e N.D. Nobilis Domina. Dopo la scomparsa di S.M. il Re Umberto II di Savoia è decaduta la Regia Prerogativa e pertanto non verranno più concessi nuovi titoli nobiliari. Sappiamo che la Costituzione recita “i titoli nobiliari non costituiscono contenuto di un diritto e, più ampiamente, non conservano alcuna rilevanza” [art. 3 della XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione]. Quindi non vi saranno più Provvedimenti di Grazia, ma in casi da sottoporre all’esame dei preposti Organi del Corpo della Nobiltà Italiana, soltanto Provvedimenti di Giustizia cioè riconoscimenti di titoli pre-esistenti e non concessioni di titoli ex novo. Veniamo ora allo Stemma o Arma – di famiglia – naturalmente. Dal greco στέμμα che vuole dire “corona” ha origine dal fatto che sia in guerra che nei tornei cavallereschi il condottiero avendo il volto celato dall’elmo, per farsi riconoscere portava sullo scudo il segno distintivo della sua famiglia. Sopra lo stemma, si trova l’elmo sormontato dal cimiero, si dice per incutere timore all’avversario. Una precisazione: non si creda che stemma = nobiltà; nel medioevo quasi tutte le famiglie del ceto borghese avevano uno stemma, (che fu definito un “cognome illustrato”) come anche le corporazioni ed i Comuni – che lo hanno ancora oggi – e solo alcuni ornamenti esteriori permettevano di riconoscere lo stemma nobiliare. In sostanza tutte le famiglie nobili hanno uno stemma, ma non tutti gli stemmi si riferiscono a famiglie nobili. Araldica deriva da Araldo, il quale secondo qualcuno sarebbe stato l’ufficiale dell’armata e secondo altri successivamente il funzionario che svolgeva importanti compiti nei tornei.

La Corona sormonta lo stemma ed indica il grado di nobiltà (corona di Principe, di Duca ed altro). Ogni famiglia nobile conserva il suo Albero Genealogico che è in sostanza il grafico raffigurante l’elenco completo degli antenati che viene utilizzato nella Genealogia, la scienza storica che accerta e ricostruisce i legami di parentela. Dal capostipite (che ha ricevuto la concessione del titolo di nobiltà) abbiamo i discendenti in linea diretta per generazione naturale, mentre i collaterali sono tutti i discendenti da un comune capostipite, esclusi quelli in linea retta. Nel 1958 un gruppo di nobili gentiluomini hanno costituito il Corpo della Nobiltà Italiana, che si suddivide in 14 Associazioni Nobiliari Regionali; il lettore troverà ampie spiegazioni e delucidazioni negli articoli contenuti nel sito. Ed ora la domanda che alcune volte ci sentiamo porre: “vorrei sapere se la mia famiglia ha origini nobiliari”.

Premettiamo che dobbiamo essere molto attenti su questo punto; chiunque può scriverci (link a contatti) ma preghiamo fin d’ora di farlo solo se chi scrive sarà in possesso di documenti certi, meglio se in originale. Ricordiamo che occorre dimostrare la discendenza diretta da chi ha avuto la concessione (o anche il riconoscimento) del titolo, facendo attenzione alle limitazioni primogenito, ultrogenito, femminile di cui sopra. In seno all’Associazione Nobiliare della Liguria opera la Commissione Araldico Genealogica che – esaminate ed approvate le pratiche – le invia all’approvazione della Giunta Araldica Centrale. Per qualsiasi informazione di carattere generale soprattutto storico sulla nobiltà ed argomenti ad essa relati siamo a disposizione di chiunque ci vorrà contattare.

Ettore De Katt

1) La funzione del coroner venne sancita dall’articolo 20 degli “Articles of Eyre” nel settembre del 1194 e venne meglio precisata nel capitolo 24 della Magna Carta nel 1215.

Brevi Nozioni in merito allo Stemma detto anche Arme(a)

Prima di addentrarci in questo campo di certo affascinante, ma non semplice ed estremamente vario, desideriamo premettere che questo lavoro è da intendersi come una esposizione dei principi base della scienza araldica, quella disciplina o meglio quel ramo della storia che ha per oggetto lo studio delle armi o stemmi nobiliari in generale, della loro origine e specie e della composizione dell’arma. Lo scopo di fornire le principali nozioni di base a chi – entrato nel nostro sito – desideri una conoscenza appena più completa su questo, sovente poco e non ben conosciuto argomento. Un minimo di terminologia. Araldica: detta anche Arte Araldica era la funzione dell’araldo e successivamente del re d’arme cioè di quel pubblico ufficiale addetto alle corti dei sovrani e dei grandi feudatari e agli ordini cavallereschi. In genere l’araldo era nobile o veniva nobilitato all’atto della nomina, vestiva una cotta di velluto armeggiata. Gli araldi prestavano uno speciale giuramento, erano inviolabili, formavano un collegio ed eleggevano a loro capo il re d’arme. Svolgevano importanti funzioni durante i tornei, le giostre, i passi d’arme; 1) prima fra esse era il riconoscere le armi dei cavalieri e di gridarne la forma e il contenuto. Essendo gli araldi altresì custodi contro l’usurpazione di titoli, venivano ad essi affidati i registri genealogici. L’Araldica detto in breve regola e governa gli stemmi gentilizi. Stemma: non ha – come può credersi – origine medioevale, basta citare lo scudo di Achille descritto nell’Iliade, i vessilli delle tribù di Israele comandati da Mosé, gli scudi dei Germani che Tacito descrive scuta lectissima coloribus distinguunt 2) ed infine quelli dei Cimbri e dei Teutoni sui quali campeggiavano figure di animali feroci, come racconta Plinio il Vecchio nel suo Bella Germaniae. Venendo a tempi successivi cioè al XI secolo rileviamo che, non solo in occasione delle crociate, il signore trovandosi confuso nella moltitudine dei partecipanti alla spedizione necessitasse di un segno distintivo della propria armatura, scegliendo quindi un colore ed un’insegna che – oltre a distinguerlo – lo rappresentasse. Analoga situazione si presentava in occasione dei giochi guerreschi, cioè come dicevamo prima tornei, giostre, passi d’arme nei quali i cavalieri si battevano coperti da armature che non consentivano il riconoscimento della persona. Si impose quindi la necessità di poter distinguere, anche da lontano, un cavaliere del quale non era visibile il volto. Di qui la soluzione di contrassegnare le parti più visibili cioè lo scudo e la gualdrappa del cavallo, con colori disposti secondo schemi scelti dal singolo cavaliere. Moltiplicandosi con il tempo i simboli personali si aggiunsero ai soli colori disegni che rappresentavano armi, attrezzi, animali, piante o altri oggetti. Ora era possibile riconoscere un cavaliere, ma si aveva la necessità di qualcuno in grado di conoscere, e quindi riconoscere, i vari simboli individuali. I funzionari incaricati del riconoscimento, sia nelle azioni belliche che nei vari tornei, assunsero quindi una veste ufficiale ed un nome ben preciso, gli araldi, come detto sopra. Arme(a) (pl. armi) viene così definita 3) “Dicesi arma o stemma il complesso di tutele figure, emblemi, smalti, ornamenti, contrassegni d’onore che servono a far conoscere la nobiltà di una famiglia.”, quindi i due termini vengono considerati dall’Autore e non solo da lui, sinonimi. Altri distinguono in maniera più riduttiva lo stemma quale simbolo in forma grafica, elemento distintivo individuale rappresentato su uno scudo; mentre come arme viene descritta una insegna costituita da uno stemma corredato da una serie di ornamenti esteriori aventi lo scopo di evidenziare il grado di nobiltà, le funzioni, il rango del titolare. Scudo è il supporto fisico dello stemma, il fondo su cui si disegnano le figure e le pezze araldiche, l’elemento centrale dell’ arme. Dal greco άσπις = scudo, al termine Araldica è stato dato da Sir Henry Spelman (1564- 1641) il sinonimo invero poco usato di Aspilogia. La scienza che insegna la comprensione delle leggi e del significato delle armi nelle diverse figure araldiche; l’interpretazione degli stemmi gentilizî nelle loro diverse figure e nel loro significato ed in ultimo la loro descrizione è detta Blasone. Quanto all’etimologia i più affermano che il termine derivi dal tedesco blasen = suonare il corno; quando un cavaliere si presentava a un torneo o giostra l’araldo ne esaminava lo scudo e se lo trovava senza macchia lo proclamava appunto suonando il corno. Blasonare, descrivere un’arme con la terminologia e nell’ordine fissato dalle regole araldiche.

Principali Forme degli Scudi:

Lo scudo da torneo o banderese è rettangolare largo 7 moduli e alto 8; Era lo scudo così detti cavalieri banderesi (chevaliers bannerets) cioè di quei signori che avevano il diritto di condurre alla guerra i loro vassalli sotto la loro bandiera.

Scudo Francese Antico detto anche Gotico risale al XII secolo

Scudo Francese Moderno o Sannitico. Di forma rettangolare i cui angoli inferiori sono arrotondati da archi di cerchio con raggio di mezzo modulo. Secondo alcuni autori esso è normalmente alto 8 moduli e largo 7, come lo scudo banderese, mentre altri riportano la misura di 9 moduli di altezza per 7 di larghezza. Il centro del lato inferiore è munito di una punta formata da due archi di cerchio anch’essi di mezzo modulo di raggio.

Scudo Italiano detto anche A testa di Cavallo, Presenta sette o nove sporgenze, due superiori, quattro o sei ai lati e una in punta. È una forma molto usata nei monumenti, particolarmente in Italia, ma compare più raramente nelle armi familiari.

Scudo Inglese, deriva direttamente dallo scudo sannitico al quale vengono aggiunte due piccole sporgenze triangolari alle estremità del lato superiore.

Scudo spagnolo, detto anche scudo ritondato Un quadrato cui si unisce, in basso, un semicerchio. È detto anche portoghese o fiammingo perché molto in uso in quei paesi.

Scudo tedesco, detto anche targa, è caratterizzato dalla presenza di un intaglio sul lato destro, che ha lo scopo di fornire un sostegno per la lancia.

Scudo a losanga, generalmente impiegato per le donne non sposate; nell’araldica inglese è utilizzato anche per le donne sposate.

Scudo ovale, detto anche ancile usato inizialmente in Italia, è stato poi adottato come forma standard per gli ecclesiastici e per le donne sposate. Se è appuntato in basso è detto anche perale.

Parlando ancora della forma dello scudo, si dice Scudo Antico (o all’antica) se disegnato ritto non sulla punta secondo il modo classico, ma appoggiato sul suo lato destro.

Importante: Nel linguaggio araldico la sinistra dello scudo è alla destra di chi guarda; infatti immaginando un cavaliere che abbia imbracciato lo scudo, la parte che noi vediamo a sinistra si trova in realtà alla destra di chi lo porta.
Partizioni dello Scudo: semplificando, possiamo partire uno scudo in cinque parti principali, dette
regioni: capo (in alto), punta (in basso), fianco sinistro (a destra), fianco destro (a sinistra), cuore o abisso.

Campo: è lo sfondo dello scudo sul quale si disegnato le figure e le pezze (l’insieme di carichi araldici) caratterizzati dall’avere una forma geometrica che non è assimilabile ad alcuna immagine connessa con il mondo naturale o immaginario). Di seguito alcuni esempi di pezze onorevoli di primo ordine.

Campi: tutte le tinte che possono coprire lo scudo, sette smalti e due pellicce o fodere.

Smalti: si suddividono in metalli e colori.

Metalli: sono argento e oro.

Colori: rosso, azzurro, verde, nero e porpora.

Pellicce: armellino e vaio.

Regola aurea: «mai metallo su metallo, né smalto su smalto», «mai colore tenue su tenue, né colore intenso su intenso»

Partizioni: gli scudi che hanno il campo di un solo colore sono detti scudi pieni. Lo scudo può essere suddiviso in vari campi mediante una o più linee. Tali partizioni quando risultano da una sola linea si dicono partizioni semplici, da più linee composte o meglio ripartizioni.
Le quattro partizioni di base (partito, troncato, trinciato, tagliato) sono talvolta definite «i quattro colpi guerrieri» e possono combinare all’infinito; inquartato in decusse, inquartato, troncato in scaglione, interzato in pergola.

Le partizione viene usata di frequente per indicare – secondo le regole araldiche – matrimoni, annessione di feudi, e così via.

Possiamo dire che vi è una sorta di gerarchia nel disporre gli elementi creati da una partizione; essi sono di dimensioni uguali, ma non hanno lo stesso «prestigio» se così si può dire; esso diminuisce dall’alto verso il basso, e da destra verso sinistra, e la blasonatura si fa secondo questa regola.

Un esempio di unione con partito:

Diamo un semplice esempio di blasonatura, andare oltre sarebbe passare i limiti che ci siamo prefissati.

Blasonatura 1 – di oro al leone d’azzurro linguato di rosso.

Blasonatura 2 – di oro a quattro pali di rosso.

Blasonatura 3 – partito di oro al leone d’azzurro linguato di rosso e di oro a quattro pali di rosso.

Blasonatura 4 – inquartato nel 1° e 4° di oro al leone d’azzurro linguato di rosso e nel 2° e 3° di oro a quattro pali di rosso.

Gli scudi sono quasi sempre <> di figure, cioè di motivi detti carichi. Ciò per la evidente ragione di rendere distinguibili gli stessi. Pochissimi infatti sono gli scudi così detti pieni o meglio dal campo pieno cioè di smalti o pellicce che ne occupino tutta la superficie.

I carichi araldici che hanno una posizione predeterminata e di norma invariabile sul campo dello scudo vengono detti pezze onorevoli o da illustri autori anche figure araldiche. Esse sono il palo, la fascia, la banda, la sbarra, la croce, il decusse, la pergola, lo scaglione, il capo.

Oltre alle pezze onorevoli – dicevamo sopra – di cui sopra, gli scudi sugli scudi vengono caricate le figure che quasi sempre illustrano il cognome. Una suddivisione estremamente sommaria può essere la seguente:

• figure naturali: sole, crescente, arcobaleno, stelle, leone, leopardo, cavallo, cane, aquila, ecc.
• figure artificiali: anelletto, candelabro, chiave, chiodo, corona, erpice, ecc.
• figure chimeriche o fantastiche: chimera, drago, sirena, grifone, arpia, liocorno, ecc.

Due soli esempi:

di rosso alla colonna d’argento coronata d’oro.


inquartato al 1° e 4° d’azzurro al leone d’oro (quello al 1° rivoltato alla tedesca); al 2° e al 3° partito: d’oro alla mezza aquila di nero coronata del campo, movente dalla partizione e palato d’oro e di rosso; il cuore rombeggiato di rosso e d’oro.

In altro scritto abbiamo parlato brevemente di corone, dobbiamo anora trattare di elmo, cimiero, svolazzi (o lambrecchini), padiglione e manto, imprese e grido d’armi, brisure ed in ultimo di livree; lo faremo in altro articolo.

 

Note:

1 Il torneo propriamente detto veniva combattuto tra due schieramenti; la giostra tra singoli cavalieri, sovente secondo le regole dell’amor cortese verso una dama. I tornei furono in uso fino al tempo che seguì alla morte di Enrico II re di Francia che venne accidentalmente ucciso dal conte di Montgomery in un torneo al palazzo delle Tournelles il giorno 1 luglio del 1559. Ne rimase comunque un’immagine nei passi d’arme, di cui furono tenenti Carlo IX ed Enrico III..

2 Tacito, De origine Germanorum, VI. 2
3 Felice Tribolati, Grammatica Araldica, ed. Hoepli 1904, pag 43.